L'empirismo di Locke
John Locke (1632-1704) è considerato il padre dell'empirismo, una corrente filosofica che sostiene che tutta la conoscenza derivi dall'esperienza sensibile. Nel suo *Saggio sull'intelletto umano* (1690), egli respinge l'idea di conoscenze innate, sostenendo che la mente umana, al momento della nascita, sia paragonabile a una tabula rasa, ovvero una superficie priva di qualsiasi contenuto preesistente. Ogni idea, secondo Locke, si origina esclusivamente dall’esperienza, che si suddivide in due categorie principali:
1. Sensazione, che proviene dall'interazione con il mondo esterno attraverso i sensi (vista, tatto, udito, olfatto, gusto).
2. Riflessione, che nasce dall'osservazione delle operazioni della mente stessa, come il pensare, il volere, il ricordare.
Attraverso questi due canali, gli esseri umani formano concetti e conoscenze, che si evolvono progressivamente nel corso della vita.
Il pensiero politico: libertà e governo
Oltre a essere un importante teorico della conoscenza, Locke fu anche una figura chiave nella filosofia politica. Nei suoi *Due trattati sul governo civile* (1690), egli critica il concetto di monarchia assoluta e sviluppa una teoria politica fondata sui principi del liberalismo e del governo rappresentativo.
Il **Primo trattato** è una confutazione diretta dell’opera *Il Patriarca*, dello scrittore inglese Robert Filmer, il quale sosteneva che l'autorità del sovrano fosse un diritto divino trasmesso per discendenza da Adamo, il primo uomo. Locke smonta questa argomentazione utilizzando il metodo della critica razionale, dimostrando l'infondatezza di un simile dogma e riaffermando che il potere politico non può essere giustificato sulla base di presunti diritti ereditari.
Stato di natura e contratto sociale
Nel **Secondo trattato**, Locke elabora una concezione dello *stato di natura* che si distingue da quella di Hobbes e Spinoza. Per Hobbes, lo stato di natura è una condizione di guerra permanente in cui gli uomini, mossi dall'istinto di autoconservazione, vivono in un perenne conflitto. Per Spinoza, invece, rappresenta una fase in cui gli individui non sono vincolati da leggi positive, ma agiscono in base alle proprie capacità e necessità. Locke, al contrario, propone una visione più ottimistica: nello stato di natura, gli esseri umani non sono selvaggi né privi di moralità, bensì guidati dalla ragione e dal rispetto di una legge morale di origine divina. Questa legge garantisce tre diritti fondamentali, innati e inalienabili:
- Diritto alla vita: ogni individuo ha il diritto naturale di preservare la propria esistenza.
- Diritto alla libertà: nessun essere umano può essere sottoposto arbitrariamente al dominio di un altro.
- Diritto alla proprietà: gli uomini hanno il diritto di possedere beni, frutto del proprio lavoro e del loro utilizzo delle risorse naturali.
Lo stato di natura, tuttavia, non garantisce sempre la protezione effettiva di questi diritti, poiché manca un'autorità imparziale che faccia rispettare le regole. Per questo motivo, gli uomini stipulano un **contratto sociale**, con il quale rinunciano a una parte della loro libertà individuale in favore di un governo che garantisca sicurezza e giustizia. Tuttavia, diversamente da Hobbes, Locke non concepisce il potere come assoluto: lo Stato deve limitarsi a tutelare i diritti fondamentali e, qualora fallisse in questo compito, i cittadini avrebbero il diritto di ribellarsi e sostituire il governo.
L'eredità di Locke
Le teorie politiche di Locke influenzarono profondamente la cultura illuminista, soprattutto in Francia, e giocarono un ruolo cruciale nella nascita del costituzionalismo moderno. I suoi principi ispirarono i padri fondatori degli Stati Uniti, contribuendo alla formulazione della *Dichiarazione d'Indipendenza* (1776) e della *Costituzione americana* (1787). Il suo pensiero rappresenta ancora oggi un pilastro della democrazia liberale, basata sulla tutela dei diritti individuali, sulla divisione dei poteri e sulla legittimità del governo come espressione della volontà popolare.

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